Sul contratto aziendale, sento di dover esprimere una mia opinione.
Innanzi tutto sono convinto, che non debba essere in nessun modo peggiorativo rispetto al contratto nazionale: un lavoratore da Domodossola a Trapani deve almeno poter godere delle stesse garanzie di partenza.
Dato per scontato questo, forse ingenuamente, non vorrei che fosse l’ennesima strategia operata dal potere economico: il classico cavallo di Troia per abolire il contratto nazionale, creando quindi una pletora di contratti che andrebbero sicuramente a peggiorare le condizioni lavorative vista la differenza nei rapporti di forza.
Tutto questo vorrebbe dire ripetere lo stesso errore di quando, con il mantra della necessità di più flessibilità nei contratti di assunzione, ci siamo ridotti ad anni di precarietà.
Ritengo anche che questa forma di contrattazione sia esiziale per i lavoratori, perché distoglie dalla visione di insieme: ci si impegna solo a livello aziendale perché parte sentita come quotidianità, non considerando che il sistema economico attuale ha radici ben più profonde del semplice rapporto tra lavoratore e azienda.
Fatta questa breve premessa, sono fermamente convinto che il problema non sia tanto arrivare ad un contratto aziendale, ma uscire da questa camicia di forza chiamata Euro- debito – deflazione vera causa dell’ impoverimento generalizzato.
Del resto la Storia insegna, che solo con l’intervento dello stato ci può essere espansione economica.
Non penso, e lo dico seraficamente, che la Marcegaglia, l ‘Unione Europea e la Banca Centrale favoriscano i contratti aziendali per difendere i lavoratori cosi come dovrebbe essere inteso a livello sindacale.
Credo sia l’ennesima volta in cui verremo portati a perdere ancora diritti, con la convinzione che venga fatto per favorire la nostra condizione lavorativa.
Il vero problema, e finché non si focalizza questo qualsiasi lotta In difesa del lavoro sarà già persa, è la gestione del denaro che deve ritornare in mano ad uno stato veramente sovrano, con capacità di stampare moneta e quindi di spendere a deficit per far fronte alle proprie uscite in favore dei cittadini.
Solo questa è la differenza che passa tra il lottare per i diritti, e l’azzuffarsi con un’ azienda per dividersi le briciole con rapporti di forza sproporzionati visto l’aumento della disoccupazione e quindi di manodopera di riserva a basso costo.
Ritengo che il contratto aziendale sia proficuo in un momento di espansione economica.
Con l’impoverimento a cui stiamo assistendo in Italia ( sarà il peggiore dal dopoguerra ad oggi), distruggere la centralità del contratto nazionale vuol dire togliere l’ultimo baluardo in grado di difenderci dal medioevo.
Stiamo costantemente perdendo diritti, perché siamo portati a lottare sulla forma e non sulla sostanza ( la chiamerei “democrazia del superfluo”: ci fanno scegliere le cose marginali che non influiscono affatto sulle scelte importanti) .
E’ giunto il momento di smetterla di farci prendere in giro.
Innanzi tutto sono convinto, che non debba essere in nessun modo peggiorativo rispetto al contratto nazionale: un lavoratore da Domodossola a Trapani deve almeno poter godere delle stesse garanzie di partenza.
Dato per scontato questo, forse ingenuamente, non vorrei che fosse l’ennesima strategia operata dal potere economico: il classico cavallo di Troia per abolire il contratto nazionale, creando quindi una pletora di contratti che andrebbero sicuramente a peggiorare le condizioni lavorative vista la differenza nei rapporti di forza.
Tutto questo vorrebbe dire ripetere lo stesso errore di quando, con il mantra della necessità di più flessibilità nei contratti di assunzione, ci siamo ridotti ad anni di precarietà.
Ritengo anche che questa forma di contrattazione sia esiziale per i lavoratori, perché distoglie dalla visione di insieme: ci si impegna solo a livello aziendale perché parte sentita come quotidianità, non considerando che il sistema economico attuale ha radici ben più profonde del semplice rapporto tra lavoratore e azienda.
Fatta questa breve premessa, sono fermamente convinto che il problema non sia tanto arrivare ad un contratto aziendale, ma uscire da questa camicia di forza chiamata Euro- debito – deflazione vera causa dell’ impoverimento generalizzato.
Del resto la Storia insegna, che solo con l’intervento dello stato ci può essere espansione economica.
Non penso, e lo dico seraficamente, che la Marcegaglia, l ‘Unione Europea e la Banca Centrale favoriscano i contratti aziendali per difendere i lavoratori cosi come dovrebbe essere inteso a livello sindacale.
Credo sia l’ennesima volta in cui verremo portati a perdere ancora diritti, con la convinzione che venga fatto per favorire la nostra condizione lavorativa.
Il vero problema, e finché non si focalizza questo qualsiasi lotta In difesa del lavoro sarà già persa, è la gestione del denaro che deve ritornare in mano ad uno stato veramente sovrano, con capacità di stampare moneta e quindi di spendere a deficit per far fronte alle proprie uscite in favore dei cittadini.
Solo questa è la differenza che passa tra il lottare per i diritti, e l’azzuffarsi con un’ azienda per dividersi le briciole con rapporti di forza sproporzionati visto l’aumento della disoccupazione e quindi di manodopera di riserva a basso costo.
Ritengo che il contratto aziendale sia proficuo in un momento di espansione economica.
Con l’impoverimento a cui stiamo assistendo in Italia ( sarà il peggiore dal dopoguerra ad oggi), distruggere la centralità del contratto nazionale vuol dire togliere l’ultimo baluardo in grado di difenderci dal medioevo.
Stiamo costantemente perdendo diritti, perché siamo portati a lottare sulla forma e non sulla sostanza ( la chiamerei “democrazia del superfluo”: ci fanno scegliere le cose marginali che non influiscono affatto sulle scelte importanti) .
E’ giunto il momento di smetterla di farci prendere in giro.
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Ti abbraccio
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