Cinquecento euro al mese per i giovani, agendo sulle pensioni di anzianità, per aiutarli così ad uscire di casa. Lo ha proposto il ministro per la Funzione pubblica, Renato Brunetta, durante la puntata di 'Domenica In - L'Arena', su Raiuno. Critiche dal Pd. I sindacati: "Solita boutade".
Fonte: "500 euro ai giovani per aiutarli ad uscire di casa"
Dopo i cosiddetti fannulloni, è il momento dei giovani.
Forse è vero che ai giovani d'oggi il futuro fa più paura rispetto ad altri tempi, anche se può essere una considerazione fallace da fare per me per ragioni di età, ma sentirsi dire queste affermazioni fa sempre ribollire il sangue. Le solite cose: si gioca con il futuro delle persone.
Sempre per allacciarmi al discorso del post precedente, credo che per cambiare le cose ci si debba allontanare del tutto dalle fondamenta su cui si erige l'ideologia dominante. Tutto il resto è come la concertazione dei sindacati: la classe imprenditoriale ora domina quasi incontrastata, perchè si è dispersa l'energia utile ad un possibile cambiamento disilludendo le speranze dei lavoratori con un continuo barattare diritti.
O si ha il coraggio almeno di provare fino in fondo, o possiamo smettere anche domani perchè così non cambieremo un tubo. Sui diritti, non ci può essere concertazione: l'essere umano deve venire prima del mercato, di un sistema economico che ci sta portando all'autodistruzione.
Tutto il resto è storia di una sinistra, che alleandosi con il centro pensando di poter cambiare ha solo fatto l'interesse altrui ( vedi PSI con DC anni 60 per fare un esempio).
Se proprio devo essere sincero, inseguire un mondo più giusto non mi sembra poi così utopico, anzi: è un dovere.
Ma poi mi chiedo: perchè sono sempre qui a ripetere le solite cose? Se mi guardo attorno, sembra che a qualcuno vada bene così. E allora cosa fare?
Fonte: "500 euro ai giovani per aiutarli ad uscire di casa"
Dopo i cosiddetti fannulloni, è il momento dei giovani.
Forse è vero che ai giovani d'oggi il futuro fa più paura rispetto ad altri tempi, anche se può essere una considerazione fallace da fare per me per ragioni di età, ma sentirsi dire queste affermazioni fa sempre ribollire il sangue. Le solite cose: si gioca con il futuro delle persone.
Sempre per allacciarmi al discorso del post precedente, credo che per cambiare le cose ci si debba allontanare del tutto dalle fondamenta su cui si erige l'ideologia dominante. Tutto il resto è come la concertazione dei sindacati: la classe imprenditoriale ora domina quasi incontrastata, perchè si è dispersa l'energia utile ad un possibile cambiamento disilludendo le speranze dei lavoratori con un continuo barattare diritti.
O si ha il coraggio almeno di provare fino in fondo, o possiamo smettere anche domani perchè così non cambieremo un tubo. Sui diritti, non ci può essere concertazione: l'essere umano deve venire prima del mercato, di un sistema economico che ci sta portando all'autodistruzione.
Tutto il resto è storia di una sinistra, che alleandosi con il centro pensando di poter cambiare ha solo fatto l'interesse altrui ( vedi PSI con DC anni 60 per fare un esempio).
Se proprio devo essere sincero, inseguire un mondo più giusto non mi sembra poi così utopico, anzi: è un dovere.
Ma poi mi chiedo: perchè sono sempre qui a ripetere le solite cose? Se mi guardo attorno, sembra che a qualcuno vada bene così. E allora cosa fare?
Commenti
il problema è: come conciliare la protesta e l'impegno verso un mondo migliore a tutti i livelli con il mangiare il pane domani e dopodomani per sé e la propria famiglia?
Incompente e buffone.
E si, a qualcuno va bene cosi' ma voglio sperare che invece sempre di piu' stiano osservando e giudicando l'operato di questo governo
Noi giovani oggi non siamo precari solamente nelle nostre misere occupazioni a tempo: lo siamo anche nelle vite, nei sentimenti, nei progetti, nei sogni. Perchè così ci vuole la feroce competitività del mercato. Interinali, temporanei, sempre concentrati su noi stessi e la nostra sola sopravvivenza. E incapaci di legarci l'un l'altro in rapporti di cooperazione.
Il sistema del lavoro, così com'è impostato, non dà nessuna garanzia che possa permetterci di prendere l'iniziativa e di contare sulle nostre capacità per raggiungere l'indipendenza. Le prospettive sono poche, e in un paese in cui chi lavora onestamente, con dedizione e fiducia in quello che fa, il più delle volte passa per fesso, tanti non sentono nemmeno la spinta a innalzare il proprio valore nel lavoro, e a realizzarsi insieme agli altri in questa dimensione. Mancano gli stimoli.
In questo senso è verissimo che proviamo molta più paura del futuro di quanto ne hanno avuta i nostri padri (che pure in fabbrica difendevano il loro posto dai licenziamenti, rischiando) o i nostri nonni (che magari hanno vissuto gli stenti della guerra e sono stati emigranti).
La crisi economica ha inciso solo fino a un certo punto su questa condizione: l'incertezza ormai è strutturale, ed è un comportamento criminale e irresponsabile convincere la gente e le famiglie che sarà un'elemosina di stato (per di più ottenuta mettendo mano alle pensioni: la solita guerra del povero contro il più povero) a risanare un sistema che cade a pezzi.
L'unica vera sicurezza che è indispensabile costruire se non vogliamo affondare del tutto è l'importanza primaria del lavoro, non solo come mezzo di sostentamento o via per raggiungere il successo, ma come base della dignità delle persone. Il primo passo da compiere è riorganizzare la speranza: risvegliare la volontà di andare a prenderci le opportunità per la nostra vita se ci vengono negate, e la fierezza di non accontentarsi mai di ciò che viene concesso dall'alto come un grande atto di carità.
saluti
naso.
Un abbraccio.
Roby